
I motivi principali che
spingono alla guerra sono: essere (sentirsi) più sicuri, ottenere un guadagno
(non necessariamente territoriale), mandare un messaggio. Difficilmente la
Russia deve aver pensato all’invasione dell’Ucraina nell’ottica
dell’ottenimento di un guadagno in termini assoluti visto che, in generale,
muovere guerra significa aprire voragini nei bilanci statali e muovere una
guerra nel 2022 ancor di più, specie se si hanno fondamenta economiche
tutt’altro che granitiche, non si hanno amici di rilievo e per portarla avanti
si è costretti a vincolarsi a doppio filo all’ultimo allievo del comunismo i
cui interessi strategici giacciono altrove (strappare la primazia allo Zio Sam)
e che usa il poco aiuto fornito per assicurarsi d’averti in pugno a guerra
finita (Cina). Nonostante ciò il possibile controllo totale della Crimea,
nonché del Mar Nero e dello sbocco agli stretti turchi, cui potrebbero
aggiungersi ampie porzioni di territorio del fu granaio d’Europa sono
certamente considerabili in termini di guadagno, soprattutto se si fa l’errore
di non considerare il prezzo pagato per ottenerlo. Il discorso potrebbe farsi
più annoso, invece, sul tema della sicurezza, quanto meno quella territoriale.
Napoleone prima e Hitler poi hanno dimostrato quanto sia facile arrivare via
terra al cuore della Russia. Si potrebbe a ragione obiettare che non hanno
fatto ritorno ma ciò non toglie che – Generale Inverno a parte - non ci siano
barriere naturali a frapporsi tra il territorio propriamente russo e un
possibile invasore e, sebbene queste possano apparire considerazioni fuori dal
tempo di fronte al guerreggiare contemporaneo, l’importanza di disporre di un
territorio cuscinetto di fronte ai propri confini continua a far presa
nell’immaginario di un popolo che ha pagato il tributo più alto alla Seconda
Guerra mondiale. È dubbio che Putin possa essersi sentito territorialmente
accerchiato o pros
simo ad essere invaso dal progressivo avvicinamento dell’Ucraina
all’orbita occidentale, quanto più minacciato nel controllo su quella che un
tempo fu l’orbita sovietica. Da qui la necessità di mandare un messaggio. Negli
anni, in effetti, si sono succedute molte dichiarazioni pubbliche di Putin
riguardo l’ampliamento della sfera di influenza statunitense verso est, così
come sono state ignorate le possibilità di partecipazione della Federazione
Russa ai maggiori organi securitari (NATO) ed economici (UE) occidentali. Per
spiegare l’escalation degli eventi nel febbraio 2022 è utile andare al discorso
tenuto da Putin il 10 febbraio del
2007 in occasione della Conferenza sulla
sicurezza di Monaco in cui il presidente russo si pronunciò contro il dominio
monopolistico degli Stati Uniti nelle relazioni internazionali e l’uso
eccessivo della forza per mantenere una posizione di predominio, col risultato
che “nessuno si sente sicuro! Perché nessuno può sentire il diritto
internazionale come un muro che lo proteggerà.” E benché la NATO avrebbe
invitato l’Ucraina e la Georgia a diventare membri soltanto nel 2008, già a
Monaco Putin dichiarò: “Penso che sia ovvio che l’espansione della NATO non ha alcuna relazione con la
modernizzazione dell’alleanza stessa o con la garanzia di sicurezza in Europa. Al contrario,
rappresenta una grave provocazione che riduce il livello di fiducia reciproca.
E abbiamo il diritto di chiederci: contro chi è destinata questa espansione?” Da
allora quello stesso messaggio ha assunto altre forme di gravità crescenti per
il precipitare dello scenario internazionale: invasione della Georgia, della
Crimea e poi del Donbass. Per dare al discorso di Monaco la forma più
compiuta e definitiva era necessario che si verificassero una serie di
congiunture favorevoli. In primis un mondo appena uscito dal Covid, un’Europa
impoverita e bisognosa di energia (fossile), strutture sovranazionali mai così
divise e litigiose, una Germania post-merkeliana politicamente debole e sempre
più dipendente dalle forniture di gas siberiane. Per non parlare degli Stati
Uniti usciti a pezzi dal trumpismo, guidati da una delle presidenze meno
incisive del dopoguerra. Sebbene presentato come “operazione militare speciale”
per la protezione dei russi del Donbass, l’invasione su larga scala
dell’Ucraina può invece essere letta come la forma definitiva, e non più
ricomponibile, di quel discorso del 2007, per veicolare il quale probabilmente
Putin e la sua cerchia hanno tenuto conto maggiormente della presunta debolezza
e incapacità di reazione della coalizione occidentale (oltre che dell’assenza
di resistenza del popolo ucraino) che dell’effettiva forza militare ed
economica russe, ma c’era un messaggio che da più di vent’anni aspettava di essere portato al mondo a guida
americana e non ci sarebbe stato momento migliore per recapitarlo. Ciò che ne è
derivato è sotto i nostri occhi da ormai quasi tre anni, insieme al fatto che,
vuoi per progressivo deterioramento delle risorse
militari, economiche e
umane dei contendenti, vuoi per impossibilità e, forse, timore di ricorrere ad
armi più potenti, la guerra in Ucraina si è trasformata nel 2025 in una guerra
di trincea.
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