VILLA CHIGI SARACINI: BENE COMUNE PRESIDIO DI PACE - contributo per una politica culturale integrata




Qua la mano, Sindaco! Siamo d’accordo con te quando dici che l’acquisizione di Villa Chigi può essere un fatto… epocale! Qui si fa l’Italia o si muore, direbbe Giuseppe Garibaldi dall’alto del suo monumento equestre.

 Certo, ma… dipende da cosa ci si fa.

 E se Villa Chigi venisse intesa come bene comune? Da dove partire?

Dalla GIOIA!

Ho visto anche pecore felici.

All’inizio furono i commons inglesi, pascoli dove brucavano pecore felici, come lo erano i loro padroni. Quei pascoli non erano di nessuno ma tutti potevano USARLI. Ecco i beni comuni. Ma… perché la terra dev’essere di qualcuno? Non è lei che ci ha figliati e ci ospita tutti quanti? Noi l’abbiamo comprata, molti ci potrebbero obiettare. Certo, ma il primo sapiens che ha detto questa terra è mia con quale diritto l’ha fatto? In ogni caso per un bene comune la proprietà è una questione secondaria, essenziale, invece, è il suo valore d’uso. Ovvero l’uso, diretto  o  indiretto, da  parte di tutti. Diretto perché è la comunità che lo  usa  direttamente, indiretto   perché, anche un eventuale uso di terzi, deve necessariamente produrre nella comunità degli effetti che soddisfano i suoi bisogni. I beni comuni, allora, si fondano sull’impegno e la responsabilità di ciascuno di noi per l’interesse collettivo.

L’individuo. Parrocchiani! Anche l’infallibilità del papa non è più un dogma, e chi ci crede l’è un bischero.

Hai ragione Don Milvio, grande è la tua sapienza d’anarchia, figuriamoci allora il concetto d’individuo. La comunità è l’insieme delle relazioni tra individui che si definiscono non in sé ma nel rapporto con chi condivide con loro il territorio, la storia, gli interessi, le esigenze, dunque è la relazione tra CONDIVIDUI. Ma la comunità non è una indistinta e tremolante marmellata dove tutti sono uguali, in essa convivono interessi, domande, stili di vita diversi, talvolta antagonisti.

 Allora il bene comune deve sempre sapere a chi è rivolto, a chi il suo uso è davvero necessario. Deve sempre domandarsi “a quali bisogni risponde?” e “a chi serve?”. È una scelta di campo. È inevitabile.

APRI IL SEGUENTE LINK PER RISPONDERE AL QUESTIONARIO SUI BISOGNI DELLA COMUNITA': https://docs.google.com/forms/u/0/d/e/1FAIpQLSf-vXp_BiL3_pspxyvLW8oubq78mwgEflqombn93OnR_ck8Aw/formResponse

Mamma, non c’è NIENTE da vedere. Fa bene agli occhi rispondeva l’Esterina. Per il troppo NIENTE crebbero con gli occhi bellissimi.

Perché anche Castelnuovo non coglie le sfide e gli stimoli provenienti dal mondo per creare spazi di confronto, scambio e condivisione? Perché non distoglie lo sguardo dal proprio ombelico rimanendo, così, in un localismo abitudinario? Crediamo davvero d’essere in un’isola felice? Non sarebbe bello far emergere bisogni e desideri, stimolare slanci, sollecitazioni, momenti di gioia e felicità? Non sarebbe meglio adottare una politica sociale e culturale, organica e integrata, che si faccia pedagogia sociale per un salto di qualità? Nel caso specifico di Villa Chigi inteso come Bene Comune non sarebbe meglio puntare su una politica che abbandoni l’improvvisazione e la soddisfazione di richieste particolari per abbracciare un progetto organico che porti alla rigenerazione dal basso di una comunità? Se fosse così, allora, dovrebbe essere rivolta a chi vive e lavora in questo territorio 12 mesi l’anno e soprattutto ai più deboli.  

E’ un poeta, ha il mal del tempo. Questo dice l’oroscopo.

Siamo sicuri che il modello di sviluppo fin qui promosso (o assecondato), incentrato sul turismo e sul territorio la cui fruizione è scollegata dalle persone che lo vivono, serva al processo di crescita della comunità? Le aziende turistiche e agroalimentari, che si basano spesso su lavoro stagionale mal pagato e che sfruttano tale modello, non producono che minime ricadute dirette sugli abitanti. Una politica sociale e culturale integrata, che abbia come obiettivo la creazione e lo sviluppo di una comunità felice non può essere schiava del turismo. Quindi sarebbe necessaria una politica che parta da

 a) una visione

b) che si faccia pedagogia sociale

c) che abbia come obiettivo ultimo la GIOIA.

Sì, la gioia, perché no? È una categoria, si potrebbe obiettare, che non significa niente ma sbaglieremmo perché, ormai, siamo entrati nel tempo della ferocia e il concetto della gioia è l’unico in grado di opporsi allo stato di cose presenti riproponendo l’idea di una società solidale. Perseguire la gioia vuol dire rendere le persone felici, soddisfatte nel loro bisogno primario che racchiude tutti gli altri, quello della felicità. Quali potrebbero essere i suoi obiettivi?

1.           Ricostruire una comunità permanente basata su una socialità partecipata. Com’è possibile che le persone, e non per loro scelta, sono costrette al letargo per cinque mesi all’anno, come le marmotte? E dove sono finiti i giovani? Non ci sarà, per caso, una singolarità spaziotemporale, insomma un buco nero, che li divora e li trasporta in qualche altro luogo più ameno? E quei pochi che si salvano dalla morsa gravitazionale, non è una grande tristezza vederli al caldo della lavanderia a gettone a giocare a carte? Altro che gioia! Allora bisognerebbe costruire ambiti stabili di incontro e di confronto basati sul piacere di stare in mezzo agli altri, di parlarsi, di divertirsi, di pensare, di porsi delle domande comuni.

2.           Costruire una pedagogia sociale e culturale in grado di superare l’autoreferenzialità di cui sono affette, in primo luogo, molte realtà associative culturali che, lancia in resta e con uno scolapasta in testa, non fanno altro che muovere a singolar tenzone una contro l’altra armate. …Branca, branca, branca, leon, leon, leon! Non sarebbe meglio capire che tutti viviamo in relazione e che anche il battito d’ali d’una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo? Non sarebbe meglio collaborare? C’era una vecchia pubblicità televisiva in cui due persone, marito e moglie, guardavano una finestra chiusa con i vetri opachi contemplando estasiati gli infissi… ma di design! Sembra una metafora di quello che succede a Castelnuovo. Ma fuori da quella finestra c’è il mondo, c’è la guerra in primo luogo, c’è il disastro climatico che, se continua così, può provocare l’estinzione dell’umano (ce ne siamo forse dimenticati?), c’è un disagio giovanile che sta mettendo in crisi un’intera generazione, c’è una corsa alla performance e alla competizione che, sotto la falsa ideologia del merito, sta rubando la vita alle persone. Crediamo che questi problemi devono presentare il passaporto al posto di confine comunale prima d’arrivare anche qua? E poi perché non mettere in conto, con onestà, che c’è una cultura buona e una cattiva? La cultura vista come puro intrattenimento, diceva provocatoriamente in un suo libro Goffredo Fofi, è l’oppio del popolo, lo strumento principale di disattivazione del pensiero critico. E aveva ragione. La cultura buona è quella che permette, anche nei momenti ludici, lo sviluppo del pensiero critico e di categorie capaci di leggere il mondo, per cambiarlo. È questa la gioia, il resto è solo tristezza. Allora bisognerebbe avere il coraggio della sperimentazione lasciando da parte ogni liturgia o ammuffita consuetudine. 

3.           Deve favorire la contaminazione. Innanzi tutto col pensiero della metropoli e poi con le altre culture del mondo. Ci rendiamo conto che la distanza tra città e campagna non si misura in chilometri bensì in anni? Lo scambio è fondamentale e la diversità è un valore.

4.           Deve valorizzare il contributo dell’intellettualità diffusa del territorio che, al momento, si astiene dalla partecipazione perché nessuno risponde alle domande che pone. Gli intellettuali non sono orchi cattivi da cui stare lontani bensì un patrimonio della collettività, bisogna capirli, non disprezzarli e spingerli a dare il loro contributo. In giro, invece, si vede solo l’elogio dell’ignoranza. Perché pensare? L’importante è fare. Dicono i suoi sostenitori. Sono le mani che bisogna usare, lasciate stare il cervello! Ecco, allora, che eserciti d’ignoranti, gonfi d’arroganza, urlano… Basta con tutte queste discussioni, smettetela con le vostre pippe intellettuali di cui nessuno capisce un cazzo, andate a lavorare! Ne vanno fieri, girano per le strade appuntandosi sul petto la medaglia dell’ignoranza e si pavoneggiano credendosi i paladini dei più deboli.

5.           Deve essere una politica culturale integrata perché deve unire per un unico obiettivo tutti i soggetti culturali (pubblici o privati) quali il Teatro (o i Teatri), il museo, la biblioteca, la libreria, lo studio di fumetto di prossima apertura e le altre istanze culturali quali i circoli e altri luoghi associativi. E allora via, tutti stretti in un abbraccio virtuoso!



Villa Chigi Saracini presidio di PACE. Siamo realisti, pretendiamo l’impossibile!

Può essere un’occasione per realizzare una vera politica culturale integrata. Allora abbiamo messo in moto il cervello e, usando quel poco di fantasia di cui siamo capaci, c’è venuta in mente qualche idea:

1)           Perché non pensare a un piccolo campus universitario dove la parte residenziale e quella formativa convivono? La parte formativa è essenziale in quanto, in sua mancanza, quella residenziale diventerebbe solo un dormitorio per chi poi deve andare in città a studiare. Quale sarebbe il vantaggio per la comunità? Suvvia, la contaminazione e lo scambio con gli studenti che vivono e studiano sul posto porterebbe una ventata di freschezza e di vitalità per tutto l’anno! Il tempo libero potrebbe rifiorire in momenti di gioia e discussione. Le piazze potrebbero essere piene di capannelli di giovani che ridono, ballano, cantano, suonano, liberando la loro spontaneità. Per esempio si potrebbe pensare all’università di Pollenzo (sfruttando la vocazione del territorio) oppure alle Università senesi, in particolare per quanto riguarda quei gruppi di ricerca esistenti che si occupano di agronomia oppure ancora all’Accademia Musicale Chigiana purchè sia una presenza formativa e residenziale continuativa.

2)           Perché non pensare a una Residenza Teatrale? In una residenza teatrale le compagnie professionistiche, in particolare quelle giovani, potrebbero usufruire di un alloggio (poche camere), dello spazio e degli impianti del Teatro per provare e montare i loro spettacoli. Alla fine li dovrebbero rappresentare garantendo, così, un’apertura continua del Teatro e una serie di spettacoli che coprirebbe tutto l’anno. In cambio le compagnie potrebbero organizzare laboratori, reading o altre animazioni culturali per la collettività in tutto il territorio comunale. Si potrebbe anche pensare, in collaborazione con i circoli, di riattivare altri spazi teatrali esistenti (a San Gusmè e a Villa Sesta, per esempio, attraverso sponsorizzazioni delle aziende della zona), oggi adibite a sale ristoranti (che tristezza!), per ospitare più compagnie alla volta. La stessa cosa potrebbe essere pensata per Residenze Artistiche, in collaborazione con il Museo del Paesaggio, cosa già sperimentata, dove gli artisti possano sviluppare la loro creatività. La combinazione delle due soluzioni potrebbe rianimare l’attività dei circoli, il godimento da parte della comunità dei lavori e degli spettacoli. Altre realtà comunali che hanno sperimentato queste soluzioni (Rubiera in Emilia, per esempio) hanno visto rinascere nel loro territorio una vivacità e una crescita culturale altrimenti inimmaginabile.

3)           Perché non pensare di ricavare un piccolo spazio di comunità per gli anziani dove si possano ritrovare per parlare, ballare o espletare altre attività organizzate o spontanee? La bellezza di Villa Chigi potrebbe diventare la “fonte meravigliosa” per la depressione senile e trasformare l’isolamento in cui vivono nel suo contrario e cioè in momenti di felice socialità. Basterebbe replicare esperienze di alcune città (C.A.M., Centri di Aggregazione Municipali) dove fioriscono attività ricreative e culturali per gli anziani.

4)           Perché non pensare a uno spazio per le realtà asso-ciative del territorio? Una casa delle associazioni autogestita dove si possano riunire o organizzare le iniziative di loro interesse. Forse, costrette a convivere, smetteranno di farsi la guerra.

5)           Perché non pensare all’allocazione in Villa dell’attuale biblioteca, aperta tutti i giorni, con una sala lettura per i giovani e gli studenti che vogliono studiare?

6)           Perché non pensare a un piccolo spazio autogestito di autoproduzione artistica di giovani del territorio? Musicisti, performer, disegnatori, filmaker, etcc… potrebbero trovare un luogo in cui sviluppare autonomamente le loro creatività.

7)           Il giardino monumentale potrebbe diventare il luo-go all’aperto per la socialità dei bambini e degli adulti se si facesse vivere con iniziative culturali costanti (musicali, ludiche o artistiche).

8)           Perché non pensare a uno spazio per un Laboratorio ambientale inteso come centro di aggregazione ambientalista con l'obiettivo di promuovere pratiche di sensibilizzazione dei cittadini sulle tematiche ambientali? Oppure anche a una Scuola di Pace dove si organizzano laboratori o altri momenti formativi sulla pace per adulti e ragazzi. Oppure, infine, una Spazio della memoria dove si tenga viva la Storia della Repubblica, nella coscienza, però, che una memoria condivisa non è possibile perché è un assurdo storico. La cosa oggi sarebbe ancor più importante a fronte del tentativo di una sua revisione.

 Ovviamente non pretendiamo di essere stati esaustivi e le nostre idee possono convivere con altre a cui non abbiamo pensato, purchè rispondenti a una stessa visione, e crediamo che ognuno abbia il dovere di contribuire partecipando al dibattito magari attraverso l’organizzazione di assemblee pubbliche. Siamo anche consapevoli del tema della sostenibilità economica del progetto anche se crediamo che quest’aspetto si ponga in una fase successiva alla definizione d’una visione e di una conseguente politica. Comunque le idee che sono germogliate, in questa primavera, dalle nostre modeste menti ne tengono conto anche se, per il momento, ci pare inutile esplicitarle. 


Pretendiamo la gioia!






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