VILLA CHIGI SARACINI: BENE COMUNE PRESIDIO DI PACE - contributo per una politica culturale integrata

Certo, ma… dipende da cosa ci si fa.
E se Villa Chigi venisse intesa come bene comune? Da dove partire?
Dalla GIOIA!
Ho visto anche pecore felici.
All’inizio furono i commons inglesi, pascoli dove brucavano pecore felici, come lo erano i loro padroni. Quei pascoli non erano di nessuno ma tutti potevano USARLI. Ecco i beni comuni. Ma… perché la terra dev’essere di qualcuno? Non è lei che ci ha figliati e ci ospita tutti quanti? Noi l’abbiamo comprata, molti ci potrebbero obiettare. Certo, ma il primo sapiens che ha detto questa terra è mia con quale diritto l’ha fatto? In ogni caso per un bene comune la proprietà è una questione secondaria, essenziale, invece, è il suo valore d’uso. Ovvero l’uso, diretto o indiretto, da parte di tutti. Diretto perché è la comunità che lo usa direttamente, indiretto perché, anche un eventuale uso di terzi, deve necessariamente produrre nella comunità degli effetti che soddisfano i suoi bisogni. I beni comuni, allora, si fondano sull’impegno e la responsabilità di ciascuno di noi per l’interesse collettivo.
L’individuo. Parrocchiani! Anche l’infallibilità del papa non è più un dogma, e chi ci crede l’è un bischero.
Hai ragione Don Milvio, grande è la tua
sapienza d’anarchia, figuriamoci allora il concetto d’individuo. La comunità è
l’insieme delle relazioni tra individui che si definiscono non in sé ma nel
rapporto con chi condivide con loro il territorio, la storia, gli interessi, le
esigenze, dunque è la relazione tra CONDIVIDUI.
Ma la comunità non è una indistinta e tremolante marmellata dove tutti sono
uguali, in essa convivono interessi, domande, stili di vita diversi, talvolta
antagonisti.
Allora il bene comune deve sempre sapere a chi è rivolto, a chi il suo uso è davvero necessario. Deve sempre domandarsi “a quali bisogni risponde?” e “a chi serve?”. È una scelta di campo. È inevitabile.
APRI IL SEGUENTE LINK PER RISPONDERE AL QUESTIONARIO SUI BISOGNI DELLA COMUNITA': https://docs.google.com/
Mamma, non c’è NIENTE da vedere. Fa bene agli occhi rispondeva l’Esterina. Per il troppo NIENTE crebbero con gli occhi bellissimi.
Perché anche Castelnuovo non coglie le sfide e gli stimoli provenienti dal mondo per creare spazi di confronto, scambio e condivisione? Perché non distoglie lo sguardo dal proprio ombelico rimanendo, così, in un localismo abitudinario? Crediamo davvero d’essere in un’isola felice? Non sarebbe bello far emergere bisogni e desideri, stimolare slanci, sollecitazioni, momenti di gioia e felicità? Non sarebbe meglio adottare una politica sociale e culturale, organica e integrata, che si faccia pedagogia sociale per un salto di qualità? Nel caso specifico di Villa Chigi inteso come Bene Comune non sarebbe meglio puntare su una politica che abbandoni l’improvvisazione e la soddisfazione di richieste particolari per abbracciare un progetto organico che porti alla rigenerazione dal basso di una comunità? Se fosse così, allora, dovrebbe essere rivolta a chi vive e lavora in questo territorio 12 mesi l’anno e soprattutto ai più deboli.
E’ un poeta, ha il mal del tempo. Questo dice l’oroscopo.
a) una visione
b) che si faccia pedagogia sociale
c) che abbia come obiettivo ultimo
la GIOIA.
Sì, la gioia, perché no? È una categoria, si potrebbe obiettare, che non significa niente ma sbaglieremmo perché, ormai, siamo entrati nel tempo della ferocia e il concetto della gioia è l’unico in grado di opporsi allo stato di cose presenti riproponendo l’idea di una società solidale. Perseguire la gioia vuol dire rendere le persone felici, soddisfatte nel loro bisogno primario che racchiude tutti gli altri, quello della felicità. Quali potrebbero essere i suoi obiettivi?
1. Ricostruire una comunità permanente basata su una socialità partecipata. Com’è possibile che le persone, e non per loro scelta, sono costrette al letargo per cinque mesi all’anno, come le marmotte? E dove sono finiti i giovani? Non ci sarà, per caso, una singolarità spaziotemporale, insomma un buco nero, che li divora e li trasporta in qualche altro luogo più ameno? E quei pochi che si salvano dalla morsa gravitazionale, non è una grande tristezza vederli al caldo della lavanderia a gettone a giocare a carte? Altro che gioia! Allora bisognerebbe costruire ambiti stabili di incontro e di confronto basati sul piacere di stare in mezzo agli altri, di parlarsi, di divertirsi, di pensare, di porsi delle domande comuni.
2. Costruire
una pedagogia
sociale e culturale in grado di superare l’autoreferenzialità
di cui sono affette, in primo luogo, molte realtà associative culturali che,
lancia in resta e con uno scolapasta in testa, non fanno altro che muovere a
singolar tenzone una contro l’altra armate. …Branca, branca, branca, leon,
leon, leon! Non sarebbe meglio capire che tutti viviamo in relazione e che
anche il battito d’ali d’una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte
del mondo? Non sarebbe meglio collaborare? C’era una vecchia pubblicità
televisiva in cui due persone, marito e moglie, guardavano una finestra chiusa
con i vetri opachi contemplando estasiati gli infissi… ma di design! Sembra una
metafora di quello che succede a Castelnuovo. Ma fuori da quella finestra c’è
il mondo, c’è la guerra in primo luogo, c’è il disastro climatico che, se
continua così, può provocare l’estinzione dell’umano (ce ne siamo forse
dimenticati?), c’è un disagio giovanile che sta mettendo in crisi un’intera
generazione, c’è una corsa alla performance e alla competizione che, sotto la
falsa ideologia del merito, sta rubando la vita alle persone. Crediamo che
questi problemi devono presentare il passaporto al posto di confine comunale
prima d’arrivare anche qua? E poi perché non mettere in conto, con onestà, che
c’è una cultura buona e una cattiva? La cultura vista come puro
intrattenimento, diceva provocatoriamente in un suo libro Goffredo Fofi, è
l’oppio del popolo, lo strumento principale di disattivazione del pensiero
critico. E aveva ragione. La cultura buona è quella che permette, anche nei
momenti ludici, lo sviluppo del pensiero critico e di categorie capaci di
leggere il mondo, per cambiarlo. È questa la gioia, il resto è solo tristezza.
Allora bisognerebbe avere il coraggio della sperimentazione lasciando da parte
ogni liturgia o ammuffita consuetudine.
3. Deve favorire la contaminazione. Innanzi
tutto col pensiero della metropoli e poi con le altre culture del mondo. Ci
rendiamo conto che la distanza tra città e campagna non si misura in chilometri
bensì in anni? Lo scambio è fondamentale e la diversità è un valore.
4. Deve
valorizzare il contributo dell’intellettualità diffusa del
territorio che, al momento, si astiene dalla partecipazione perché nessuno
risponde alle domande che pone. Gli intellettuali non sono orchi cattivi da cui
stare lontani bensì un patrimonio della collettività, bisogna capirli, non
disprezzarli e spingerli a dare il loro contributo. In giro, invece, si vede
solo l’elogio dell’ignoranza. Perché pensare? L’importante è fare. Dicono i
suoi sostenitori. Sono le mani che bisogna usare, lasciate stare il cervello!
Ecco, allora, che eserciti d’ignoranti, gonfi d’arroganza, urlano… Basta con
tutte queste discussioni, smettetela con le vostre pippe intellettuali di cui
nessuno capisce un cazzo, andate a lavorare! Ne vanno fieri, girano per le
strade appuntandosi sul petto la medaglia dell’ignoranza e si pavoneggiano
credendosi i paladini dei più deboli.
5. Deve
essere una politica culturale integrata perché
deve unire per un unico obiettivo tutti i soggetti culturali (pubblici o privati)
quali il Teatro (o i Teatri), il museo, la biblioteca, la libreria, lo studio
di fumetto di prossima apertura e le altre istanze culturali quali i circoli e
altri luoghi associativi. E allora via, tutti stretti in un abbraccio virtuoso!
Villa Chigi Saracini presidio di PACE. Siamo realisti, pretendiamo l’impossibile!
Può essere un’occasione per realizzare una
vera politica culturale integrata. Allora abbiamo messo in moto il cervello e,
usando quel poco di fantasia di cui siamo capaci, c’è venuta in mente qualche
idea:
1) Perché non pensare a un piccolo campus universitario dove la parte residenziale e quella formativa convivono? La parte formativa è essenziale in quanto, in sua mancanza, quella residenziale diventerebbe solo un dormitorio per chi poi deve andare in città a studiare. Quale sarebbe il vantaggio per la comunità? Suvvia, la contaminazione e lo scambio con gli studenti che vivono e studiano sul posto porterebbe una ventata di freschezza e di vitalità per tutto l’anno! Il tempo libero potrebbe rifiorire in momenti di gioia e discussione. Le piazze potrebbero essere piene di capannelli di giovani che ridono, ballano, cantano, suonano, liberando la loro spontaneità. Per esempio si potrebbe pensare all’università di Pollenzo (sfruttando la vocazione del territorio) oppure alle Università senesi, in particolare per quanto riguarda quei gruppi di ricerca esistenti che si occupano di agronomia oppure ancora all’Accademia Musicale Chigiana purchè sia una presenza formativa e residenziale continuativa.
2) Perché
non pensare a una Residenza Teatrale? In una residenza
teatrale le compagnie professionistiche, in particolare quelle giovani,
potrebbero usufruire di un alloggio (poche camere), dello spazio e degli impianti
del Teatro per provare e montare i loro spettacoli. Alla fine li dovrebbero
rappresentare garantendo, così, un’apertura continua del Teatro e una serie di
spettacoli che coprirebbe tutto l’anno. In cambio le compagnie potrebbero
organizzare laboratori, reading o altre animazioni culturali per la collettività
in tutto il territorio comunale. Si potrebbe anche pensare, in collaborazione
con i circoli, di riattivare altri spazi teatrali esistenti (a San Gusmè e a
Villa Sesta, per esempio, attraverso sponsorizzazioni delle aziende della zona),
oggi adibite a sale ristoranti (che tristezza!), per ospitare più compagnie
alla volta. La stessa cosa potrebbe essere pensata per Residenze
Artistiche, in collaborazione con il Museo del Paesaggio, cosa già sperimentata,
dove gli artisti possano sviluppare la loro creatività. La combinazione delle
due soluzioni potrebbe rianimare l’attività dei circoli, il godimento da parte
della comunità dei lavori e degli spettacoli. Altre realtà comunali che hanno sperimentato
queste soluzioni (Rubiera in Emilia, per esempio) hanno visto rinascere nel
loro territorio una vivacità e una crescita culturale altrimenti
inimmaginabile.
3) Perché
non pensare di ricavare un piccolo spazio di comunità per gli anziani dove si
possano ritrovare per parlare, ballare o espletare altre attività organizzate o
spontanee? La bellezza di Villa Chigi potrebbe diventare la “fonte
meravigliosa” per la depressione senile e trasformare l’isolamento in cui
vivono nel suo contrario e cioè in momenti di felice socialità. Basterebbe
replicare esperienze di alcune città (C.A.M., Centri di Aggregazione
Municipali) dove fioriscono attività ricreative e culturali per gli anziani.
4) Perché non pensare a uno spazio per
le realtà asso-ciative del territorio? Una casa delle associazioni autogestita
dove si possano riunire o organizzare le iniziative di loro interesse. Forse,
costrette a convivere, smetteranno di farsi la guerra.
5) Perché
non pensare all’allocazione in Villa dell’attuale biblioteca, aperta
tutti i giorni, con una sala lettura per i giovani e gli studenti che vogliono studiare?
6) Perché
non pensare a un piccolo spazio autogestito di autoproduzione artistica di giovani
del territorio? Musicisti, performer, disegnatori, filmaker, etcc… potrebbero
trovare un luogo in cui sviluppare autonomamente le loro creatività.
7) Il
giardino
monumentale potrebbe diventare il luo-go all’aperto per la socialità dei
bambini e degli adulti se si facesse vivere con iniziative culturali costanti
(musicali, ludiche o artistiche).
8) Perché
non pensare a uno spazio per un Laboratorio ambientale inteso
come centro di aggregazione ambientalista con l'obiettivo di promuovere
pratiche di sensibilizzazione dei cittadini sulle tematiche ambientali? Oppure
anche a una Scuola di Pace dove si
organizzano laboratori o altri momenti formativi sulla pace per adulti e
ragazzi. Oppure, infine, una Spazio della memoria dove si
tenga viva la Storia della Repubblica, nella coscienza, però, che una memoria
condivisa non è possibile perché è un assurdo storico. La cosa oggi sarebbe ancor
più importante a fronte del tentativo di una sua revisione.
Ovviamente non pretendiamo di essere stati esaustivi e le nostre idee possono convivere con altre a cui non abbiamo pensato, purchè rispondenti a una stessa visione, e crediamo che ognuno abbia il dovere di contribuire partecipando al dibattito magari attraverso l’organizzazione di assemblee pubbliche. Siamo anche consapevoli del tema della sostenibilità economica del progetto anche se crediamo che quest’aspetto si ponga in una fase successiva alla definizione d’una visione e di una conseguente politica. Comunque le idee che sono germogliate, in questa primavera, dalle nostre modeste menti ne tengono conto anche se, per il momento, ci pare inutile esplicitarle.
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