
Immaginate un lumino blu che,
nel buio, viaggia e si muove veloce lungo una linea. Questa linea passa prima
dal midollo spinale, poi nel talamo e qui, il lumino si divide in due: uno
scende lungo la linea della corteccia cerebrale, l’altro verso la linea del
sistema limbico. Infine, le due linee si ricongiungono, il lumino torna uno e
termina la sua corsa nella corteccia prefrontale. Avete appena visto il
mirabolante viaggio all’interno del corpo umano dello stimolo del dolore.
Indipendentemente dalla sua origine, visualizzarne il viaggio forse ci aiuta a
comprenderne la complessità di ricezione, sviluppo, elaborazione e magari,
risoluzione. Capire il dolore significa prima di tutto accettare
che, anche se non ci piace, non è nostro nemico; al contrario, ci protegge. É
il nostro meccanismo di difesa innato più potente, ci segnala che qualcosa non
va e innesca non solo reazioni comportamentali coscienti atte a indagarne la
causa e porvi rimedio, ma anche una risposta integrata del nostro organismo, in
cui complessi processi attivano il sistema endocrino, immunitario e motorio,
che sinergicamente agiscono verso la guarigione. Per questo chi soffre di quella rara malattia
genetica che è l’Insensibilità Congenita al Dolore rischia tantissimo: senza il
dolore, siamo indifesi. Siamo senza campanello d’allarme. La vera
complessità del dolore però, non risiede nel tentativo umano di evitarlo, bensì
nell’inesistenza di un metro di misurazione universale. Siamo nella sfera della
sensibilità e la forte componente emozionale del dolore è la ragione per cui la
sua percezione risulta essere soggettiva e, quindi, insindacabile. Ecco dove
l’ingranaggio umano scricchiola: sul dolore dell’altro. É un riflesso
involontario quello di mettere in discussione una pena che non sia la nostra.
“Se ti seduce un lumicino, seguilo. Ti conduce nella palude? certo tu ne
esci; ma se non lo segui, per tutta la vita ti perseguita il pensiero che esso
forse poteva essere la tua stella”
hristian Friedrich Hebbel
Viviamo, oggi, tutti noi, nella
più grande platea che sia mai stata costruita per gli spettatori del dolore: Gaza.
Nell’epoca più connessa di sempre, siamo tutti, nessuno escluso, pubblico delle
pene altrui con una naturalezza e un’estensione senza precedente storico. Non è
la peculiarità più grande della nostra epoca? Se pensiamo a come le più gravi
tragedie della storia dell’umanità abbiano subito continui tentativi di censura
e occultamento, non sembra impossibile che in questo istante, sotto la
pubblicità di una crema idratante ci sia il video di una bomba che cade su un
palazzo di Gaza, riducendo essere umani a brandelli? É questo il mondo
distopico a cui nessuno ha avuto la macabra fantasia di prepararci? Assuefatti
ad avvisi commerciali e brandelli di carne e di guerre, viviamo nel luogo in
cui esiste il turismo del dolore: il settore ha ampliato i margini di profitto
oltre l’umana concezione, mettendo insieme un tour operator israeliano, un
punto panoramico di fronte alla Striscia di Gaza, un divano per stare comodi e
un binocolo per vedere in diretta corpi di Palestinesi che volano a centinaia
di metri da terra, sopra le bombe. Grazie a un ultimo colpo di Teatro, ognuno
di noi può osservare dalla finestra del proprio cellulare il turista di guerra,
nell’assenza d’intralcio generale. Siamo gli esseri umani sottoposti al più
grande numero di stimoli nocicettivi che mai abbiano calpestato questa Terra.
Un solo paio d’occhi di bambino che soffrono dovrebbero essere un innesco
dolorifico sufficiente per permettere al corpo dell’umanità intera di attivare
quei processi di guarigione e salvaguardia necessari a un cessate il fuoco. Al
contrario, gli occhi di bambini sono sempre di più e nessun processo di
guarigione ha finora raggiunto Il suo scopo. Forse l’esposizione Persistente ha
intorpidito i nostri recettori; forse noi tutti siamo preda di una indotta
sindrome di insensibilità al dolore, o per istinto di protezione fuggiamo e non
crediamo alle pene geograficamente distanti, come se dimenticassimo, quando è
lontano, che il fuoco brucia e distrugge. Diventa allora necessario ricordare
la prima regola: accettare il dolore perché ci protegge, sempre, dalla
generazione di un male peggiore.
Non è richiesto lo sforzo della
fede per accogliere l’afflizione dell’altro, è richiesto solo riconoscere e
seguire, nel buio, il lumino blu.
Commenti
Posta un commento